RUGGERO ROSFER Free to dream



Facciamoci caso: nei racconti, nelle leggende, nei miti e nelle favole ai protagonisti viene spesso chiesto di esprimere un desiderio. La domanda viene quasi sempre posta alle persone semplici che si riveleranno capaci di risposte equilibrate e intelligenti al contrario di quanto succede a ricchi o potenti che, nelle rare volte in cui sono chiamati in causa, dimostreranno la loro goffa inadeguatezza. Se in questa dimensione favolistica gli umili hanno come premio la possibilità di sorprendenti scalate sociali e i poveri quella di accedere improvvisamente alla ricchezza, che cosa succede nella dura realtà quotidiana così lontana dalle edulcorate fantasie nate per regalare almeno la via di fuga della consolazione?
Ruggero Rosfer, postosi la domanda, ha realizzato un progetto molto articolato nel suo essere nel contempo realistico e immaginifico perché va a cogliere una contraddizione di fondo del mondo contemporaneo, quella che contrappone essere ed apparire e che la fotografia, per la sua stessa essenza, tende a far emergere. Anche in questo caso i protagonisti sono quanti non detengono altro potere che la loro immaginazione, sono gli ultimi, i diseredati o meglio dire, visto che ci troviamo in India, gli appartenenti alla casta degli intoccabili. Siamo nella città di Jaipur in Rajasthan ed è qui – in una zona dove le baracche che fungono da abitazioni non hanno corrente elettrica né servizi né acqua corrente – che l’equipe di Rosfer ha dato vita a “Liberi di sognare”, progetto che vede ugualmente coinvolti pittura, video e fotografia. Tutto è stato giocato sulle contraddizioni già a cominciare dal prezioso dipinto realizzato dallo scenografo Marzio Cardaropoli dove, sulla riproduzione della collina che sovrasta Los Angeles la scritta Bollywood sostituisce l’originale Hollywood. Posizionato fra le baracche, fa da fondale al set fotografico dove Ruggero Rosfer ha fatto posare uomini, donne, ragazzi accanto al televisore dove passavano le immagini dei video precedentemente realizzati dall’autrice e regista Monica Onore riprendendo loro stessi vestiti come fossero i divi cinematografici dei poster appesi alle loro spalle. Colpisce il contrasto fra l’eleganza del travestimento e l’essenzialità degli abiti di tutti i giorni ma è negli sguardi ugualmente intensi, nelle posture sempre dignitose che si coglie la loro volontà di coniugare la realtà e il sogno o, come si diceva un tempo, il pane e le rose. Il fotografo usa tutta la sua perizia per isolare i soggetti che emergono dal buio dello sfondo per comparire come fossero su un palco teatrale dove però recitano la loro stessa vita con una spontaneità toccante. Ma davvero costoro vogliono vivere in una favola? Ancora una volta la realtà si fa sentire ed è insieme forte e poetica, aspra e struggente: la si legge nelle risposte date ai questionari sottoposti ai soggetti. Tornano ancora una volta i desideri e alla domanda su che sogni coltivano, nessuno parla più del cinema. La ragazzina che pascola le capre vorrebbe sposarsi, la casalinga far studiare la figlia, il giovane meccanico possedere una nuova bicicletta, una donna diventare una brava moglie, un uomo possedere una casa. Ora è inevitabile tornare a osservare i ritratti per cogliere in quegli sguardi miti il desiderio forte di un riscatto che forse la realtà non concederà agli intoccabili anche se la fotografia, per un attimo, può farlo immaginare.