DI FALCO Parisiennes
LORIS DI FALCO Parisiennes
Le opere in mostra, 12 su tela e 8 su metallo, sono tutte inedite e realizzate tramite l’AI (l’Intelligenza Artificiale), subito dopo il lancio del “Test to image”, una tecnica recentissima per rappresentare un mondo passato: tramite il prompt di comando testuale si materializza il suo immaginario culturale.
Di Falco crea quindi una scenografia sulla quale far muovere i propri fantasmi: sembrano foto, sembrano uomini mentre sono solo un’idea, i simulacri che si è costruito tramite le sue letture e le immagini che ha accumulato in una vita.
Perché proprio Parigi? Marco Meneguzzo, curatore della mostra, ci racconta di questa scelta:
“Da adolescenti – e anche molto dopo – si fantastica domandandosi in quale epoca si sarebbe voluti vivere […] Oggi siamo in molti a vivere il reale in questo modo, e il futuro non aiuta di certo, perché ci spaventa, perché percepiamo il domani come peggiore dell’oggi… dunque, non resta che il passato. E qual è il passato più interessante per un intellettuale? Loris Di Falco non ha dubbi: è la Parigi postbellica. […]. Di Falco non è francese, non ha vissuto quel momento, ma non può fare a meno di sognarlo, come un novello Marinetti che sbarca alla Gare de Lyon[…]. Ma Di Falco fa di più, grazie proprio alla flanerie intellettuale che ha caratterizzato tutta la sua ormai lunga attività […]: si butta a capofitto in avventure linguistiche e stilistiche che poi è capace di abbandonare subitaneamente non appena gli venga voglia di intraprenderne un’altra. Una bulimia vitalistica, nascosta dietro un’apparenza tranquilla, addirittura insospettabile, che lo ha portato ad essere gallerista e pittore, pasticciere e poeta, ma purtroppo senza la Parigi di allora attorno a sé. Eppure, a questo una soluzione c’è: costruirsela. Costruire Parigi attorno a sé, con la consapevolezza dell’artista (l’altro principale aspetto camaleontico di Di Falco), e senza neppure un briciolo di schizofrenia o di autismo, che costituiscono gli aspetti patologici nella ricerca di una realtà “altra”.”
Quindi gli eroi delle letture di Loris Di Falco allestiscono gli scenari dei quadri in mostra: Marcel Duchamp gioca a scacchi con una ragazza nuda, i protagonisti de “I fiori blu” si ritrovano con gli altri personaggi di Queneau, Boris Vian, Guillaume Apollinaire, Jean Cocteau, la bevitrice d’assenzio amica di Alfred Jarry, Robert Desnos e la Nadja di Andrè Breton, i locali malfamati di Georges Simenon.
Il mito del Bistrot parigino dove sono nate le avanguardie artistiche del 900 è il luogo dove rincorrere la Femme fatale, l’amour fou, presente in tutte le rappresentazioni, dove la mitica Parisienne tesse il suo racconto.
Di Falco sceglie uno strumento semplice, veloce ed efficace come l’AI; continua Marco Meneguzzo: “L’azione richiesta agli algoritmi complessi dell’AI, da parte di Di Falco, è stata relativamente semplice: ambientare una figura femminile, tipizzata con le caratteristiche della compagna dell’intellettuale parigino tra gli anni Trenta e Cinquanta, in un bistrot altrettanto tipico, dove comparissero indizi relativi a tutte le passioni culturali del nostro, poi manipolati in un mélange convincente e attrattivo. Il risultato è ambiguo, non nel senso della piacevolezza o della riuscita, che ci sono, ma per quel senso di inquietudine che accompagna lo sguardo mentre scorre sulle immagini […]”
La resa dell’immagine è molto curata a tentare di dissimulare una fotografia realistica, ma uno sguardo più attento scopre che le persone che mettono in scena lo spettacolo della Parigi degli anni folli, non sono umani, non sono neanche attori, sono dei mostri, la loro anatomia è sbagliata, neanche la scenografia si regge secondo le regole della prospettiva o della statica, è un mondo probabile, inconsistente eppure in grado di emozionare, sembrano avere ricordi e proiezioni proprie, ma non sono mai stati lì, solamente vorrebbero essere lì, esattamente come Loris.
Le opere in mostra, 12 su tela e 8 su metallo, sono tutte inedite e realizzate tramite l’AI (l’Intelligenza Artificiale), subito dopo il lancio del “Test to image”, una tecnica recentissima per rappresentare un mondo passato: tramite il prompt di comando testuale si materializza il suo immaginario culturale.
Di Falco crea quindi una scenografia sulla quale far muovere i propri fantasmi: sembrano foto, sembrano uomini mentre sono solo un’idea, i simulacri che si è costruito tramite le sue letture e le immagini che ha accumulato in una vita.
Perché proprio Parigi? Marco Meneguzzo, curatore della mostra, ci racconta di questa scelta:
“Da adolescenti – e anche molto dopo – si fantastica domandandosi in quale epoca si sarebbe voluti vivere […] Oggi siamo in molti a vivere il reale in questo modo, e il futuro non aiuta di certo, perché ci spaventa, perché percepiamo il domani come peggiore dell’oggi… dunque, non resta che il passato. E qual è il passato più interessante per un intellettuale? Loris Di Falco non ha dubbi: è la Parigi postbellica. […]. Di Falco non è francese, non ha vissuto quel momento, ma non può fare a meno di sognarlo, come un novello Marinetti che sbarca alla Gare de Lyon[…]. Ma Di Falco fa di più, grazie proprio alla flanerie intellettuale che ha caratterizzato tutta la sua ormai lunga attività […]: si butta a capofitto in avventure linguistiche e stilistiche che poi è capace di abbandonare subitaneamente non appena gli venga voglia di intraprenderne un’altra. Una bulimia vitalistica, nascosta dietro un’apparenza tranquilla, addirittura insospettabile, che lo ha portato ad essere gallerista e pittore, pasticciere e poeta, ma purtroppo senza la Parigi di allora attorno a sé. Eppure, a questo una soluzione c’è: costruirsela. Costruire Parigi attorno a sé, con la consapevolezza dell’artista (l’altro principale aspetto camaleontico di Di Falco), e senza neppure un briciolo di schizofrenia o di autismo, che costituiscono gli aspetti patologici nella ricerca di una realtà “altra”.”
Quindi gli eroi delle letture di Loris Di Falco allestiscono gli scenari dei quadri in mostra: Marcel Duchamp gioca a scacchi con una ragazza nuda, i protagonisti de “I fiori blu” si ritrovano con gli altri personaggi di Queneau, Boris Vian, Guillaume Apollinaire, Jean Cocteau, la bevitrice d’assenzio amica di Alfred Jarry, Robert Desnos e la Nadja di Andrè Breton, i locali malfamati di Georges Simenon.
Il mito del Bistrot parigino dove sono nate le avanguardie artistiche del 900 è il luogo dove rincorrere la Femme fatale, l’amour fou, presente in tutte le rappresentazioni, dove la mitica Parisienne tesse il suo racconto.
Di Falco sceglie uno strumento semplice, veloce ed efficace come l’AI; continua Marco Meneguzzo: “L’azione richiesta agli algoritmi complessi dell’AI, da parte di Di Falco, è stata relativamente semplice: ambientare una figura femminile, tipizzata con le caratteristiche della compagna dell’intellettuale parigino tra gli anni Trenta e Cinquanta, in un bistrot altrettanto tipico, dove comparissero indizi relativi a tutte le passioni culturali del nostro, poi manipolati in un mélange convincente e attrattivo. Il risultato è ambiguo, non nel senso della piacevolezza o della riuscita, che ci sono, ma per quel senso di inquietudine che accompagna lo sguardo mentre scorre sulle immagini […]”
La resa dell’immagine è molto curata a tentare di dissimulare una fotografia realistica, ma uno sguardo più attento scopre che le persone che mettono in scena lo spettacolo della Parigi degli anni folli, non sono umani, non sono neanche attori, sono dei mostri, la loro anatomia è sbagliata, neanche la scenografia si regge secondo le regole della prospettiva o della statica, è un mondo probabile, inconsistente eppure in grado di emozionare, sembrano avere ricordi e proiezioni proprie, ma non sono mai stati lì, solamente vorrebbero essere lì, esattamente come Loris.