GRIMOLDIEU Persona, Personae



Le sculture-maschere “transumane” di Alessandro Grimoldieu

Di Chiara Canali

Negli anni Novanta del Novecento assistiamo alla nascita del progetto culturale Post-human che, come afferma Roberto Marchesini, al di là dell’evidente intendimento provocatorio, che fa eco alle teorie della post-modernità e della post-istoricità[1], sembra decretare la fine della centralità dell’uomo come misura del mondo e punto fermo su cui fondare le basi della cultura.

Post-umano, assieme a «trans-umano» sono terminologie utilizzate sia da gruppi della sottocultura New Age e Cyberpunk, quanto da scienziati visionari convinti che le nuove frontiere della ricerca consentiranno presto agli individui di controllare e modificare la propria morfologia.

La decostruzione del modello umanistico, e l’avvento di quello postumanistico, è finalizzata al riconoscimento del carattere tecnologicamente ibrido della identità umana e del significato paradigmatico del rapporto tra uomo e technè. Il Post-Umanesimo viene interpretato e vissuto come una prassi concreta di reazione nei confronti del mutamento imposto dalle tecnoscienze.

Nell’ultimo decennio del XX secolo prendono corpo varie e multiformi teorie del Post-Umanesimo. Tra queste, Donna Haraway[2] propone provocatoriamente l’immagine utopica del Cyborg[3], creatura ibrida fatta di organico e inorganico, identità meticcia e impura contaminata dal non-umano e in costante metamorfosi, disponibile ad accogliere l’universo macchinico e a riconoscere nella tecnoscienza una chance di superamento di ogni gerarchia.

La filosofia del Post-umano rivendica l’idea di una “promiscuità ontologica, dove l’ibridazione e la contaminazione con realtà non umane (animali o macchiniche) non rappresentano più minacce alla definizione identitaria, bensì divengono l’espressione più autentica della soggettività”[4].

In ambito epistemologico, l’avvento del Post-umano prelude l’avvento di nuove conquiste in territori tecnologici che sconfinano dalla genomica alla robotica, dall’informatica alle nanotecnologie, dall’ingegneria genetica alla medicina rigenerativa, che preannuncerebbero una revisione del concetto di identità dell’Homo sapiens. La tecnologia, insomma, modifica il nostro corpo, il nostro pensiero, la nostra comunicazione e, contemporaneamente, il mondo attorno a noi.

Anche l’ambito artistico viene profondamente condizionato dalla nascita del Post-Umanesimo, tanto che, durante la fine del Novecento, si assiste alla nascita della cosiddetta Post Human Art. Il corpo viene inteso come un oggetto biologico su cui intervenire tramite strumenti meccanici e tecnologici con il fine di alterarne le proprietà naturali, di mutarne le caratteristiche genetiche e psicologiche. L’opera d’arte coincide con la ricostruzione del corpo, cambiato nella sua identità organica essenziale attraverso un processo che coinvolge arte, scienza e tecnologia, al fine di ideare un organismo nuovo: l’ibrido “tecno-biologico”.

Tra gli artisti che maggiormente sperimentano in questo senso Stelarc, già alla fine degli anni Settanta inizia a sperimentare, sul proprio corpo, i limiti biologici tramite le “Body Suspension” e successivamente attua delle vere e proprie tecnomutazioni, delle trasformazione del proprio corpo per mezzo di protesi ed innesti.

Nel 1990 l’artista Orlan dà inizio alle sue performance di chirurgia estetica con l’obiettivo di attuare una metamorfosi corporea e di raggiungere canoni estetici di bellezza personali.

La saga “The Cremaster Cycle” (1994-2002) di Matthew Barney rientra in una concezione post human in quanto mette in scena tutte le creature più assurde partorite dalla sua mente: ibridi tra uomini ed animali, esseri mitologici e fantastici, mutanti genetici e sessualità indefinite.

Negli ultimi anni, anche la moda si è confrontata con queste tematiche. Una stilista come Neri Oxman, architetto di origine israeliana, ha realizzato delle futuristiche creazioni costituite da materiale organico che per mezzo di processi di biologia sintetica, sono in grado di funzionare e reagire al mondo esterno in autonomia, proprio come gli esseri viventi.

Profondamente influenzato dalle teorie e dall’arte Post Human, Alessandro Grimoldieu (Milano, 1990) è sostenitore della grande rivoluzione tecno-biologica che, portando all’abbattimento della barriera umano/non umano, possa permettere l’incremento delle capacità fisiche e cognitive e la progettazione di un uomo aumentato, il cyborg o uomo bionico.

Artista e artigiano orafo, da circa una decina d’anni si dedica all’arte orafa, creando collezioni di anelli di design disegnati a mano e fusi con la tecnica della cera persa, come l’esemplare ad artiglio della collezione “Architettura ossea” – realizzata per la tesi di laurea all’Accademia di Belle Arti di Brera – anello che nella struttura ricorda una protesi ossea che si ramifica come una pianta calciforme, spesso indossato dall’artista come una seconda pelle. Questi gioielli sono metafora di un’arte post-organica che mette in mostra il substrato della nostra configurazione ossea e che assume un'aura di forte intimità, fungendo da tramite per i sogni e le memorie dell’interiorità di chi la indossa.

Recentemente Grimoldieu è passato dalla scala micro dell’arte orafa a quella macro, e a dimensioni reali, della scultura contemporanea. La sua nuova poetica si concentra sul tema della “maschera” come riflessione sulla condizione umana e sulla costitutiva asimmetria tra esse e videri, sul rovesciamento del rapporto tra essere e apparire e sulla conseguente duplicità che caratterizza l’essere umano. Fin dalle origini, la storia umana è fondata sulla simulazione e la dissimulazione e le maschere che gli uomini hanno posto sui loro volti sono destinate a cadere soltanto al momento della morte.

Il titolo di questo ciclo di opere “Persona, Personae” deriva, infatti, dal latino “persona”, voce probabilmente di origine etrusca che propriamente significava “maschera teatrale” e poi prese il valore di “individuo di sesso non specificato”, “corpo”, e fu usata come termine grammaticale e teologico.

Alessandro Grimoldieu, appropriandosi di questa accezione antica del termine “persona”, ha creato una serie di “maschere” scultoree che, se indossate, gli permettono (o ci permettono) di scegliere quale individuo essere e come apparire agli altri a partire da una identità specifica alla quale assomigliare.

Sono maschere cave scolpite a mano utilizzando diversi materiali tra cui: ABS, PLA, PET e cera, con l’ausilio di un innovativo macchinario manuale per la modellazione 3D e successivamente fuse seguendo l’antica tecnica della fusione a cera persa tipica dell’arte orafa. La lavorazione in 3D consente il mantenimento, anche con la fusione, di quell’aspetto a trama reticolare che richiama il tessuto connettivo osseo ma anche le strutture frattali della natura o ancora i mandala dinamici dell’era digitale.

I soggetti sono vari e molteplici: alcuni hanno derivazione storica o mitologica come Baccanale (Persona satyr), Atlantideo (Persona atlantis), Apollo (Persona Solis Deus); altri fanno riferimento alla letteratura di Pirandello Uno, Nessuno e Due (Persona multa cranium) o al romanzo fantasy di Pinocchio come Vera Bugia (Persona mendacia veritas). Altri ancora prendono a modello un artista del Novecento come Dalì in Sogno Causato Da (Persona oneirica), un personaggio del fumetto o del cinema come nel caso della maschera di Guy Fawkes per V per Vendetta di Alan Moor (Remember Remember, The Fifth of November) o una icona della musica contemporanea come David Bowie in You Can Be Hero (Persona lucenti fulgor).

Altre sculture si rapportano con personalità o identità più generiche come la maschera di Venezia in Saturnale Mobile (Persona ebrietas) o il profilo del pontefice in The Future-Pope (Persona pontificem futurum).

Infine altre maschere creano identità nuove, alcune delle quali a immagine e somiglianza dell’artista, altre aliene e futuristiche, caratterizzate da diverse tipologie di texture, intrecci e modularità. Queste strutture sono modellate sempre a mano creando micro-reticoli che di volta in volta assumono aspetti e sequenze diverse: alcune a trame più ramificate e irregolari, altre secondo sviluppi ordinati e di forma sferica.

Il risultato finale è una protesi antropomorfa, a dimensioni reali, che può essere anche indossata a determinare una nuova personalità antropologica, un’alterità demiurgica in grado di inaugurare modi differenti di essere e di vivere sé stessi.

In effetti scopriamo, così, di disporre di alcune, o di tante maschere. Fa sempre più parte dell’esperienza quotidiana il ricorrere a cambiamenti di maschera per il fatto di ritrovarci in contesti e situazioni differenti, per cui diventiamo diversi conformemente alle aspettative che ci attorniano e siamo sempre più pronti a “cambiarci d’abito” o di “volto” per far fronte alle variate esigenze della società, sapendo mostrare il viso, le parole, il tono e i modi più adatti. Quando non si tratta solo di cambiare maschera ma configurazione ontologica, interviene la chirurgia plastica e sessuale che modella nuovi volti, nuovi corpi e nuove identità in base ai propri ideali di bellezza e di umanità ibridata o addirittura mutante.

La ricerca artistica di Alessandro Grimoldieu è radicata nella concezione del Transumanesimo che si affida a una radicale e ottimistica rivoluzione della condizione umana nel segno del progresso scientifico e dell’integrazione di corpo umano e tecnologia, in un’ottica di miglioramento e di potenziamento delle possibilità fisiche e cognitive dell’uomo. Questa teoria è stata coniata nel 1957 da Julian Huxley (fratello del più noto Aldous), e ipotizza la necessità “di cambiare l’attuale carattere della razza umana, per condurla verso nuove forme dell’evoluzione” e “prolungare la vita – il cosiddetto ringiovanimento” sviluppando il “campo della medicina”. Sintetizzando questo concetto, Grimoldieu spesso afferma da parte sua che “il corpo umano ormai è una macchina di carne obsoleta”. Forse questa consapevolezza è maturata anche a seguito della sua vicenda biografica che, a causa di un incidente quasi mortale, lo ha portato ad affrontare una delicata operazione al cranio e, successivamente, ulteriori operazioni di chirurgia estetica. Le sculture-maschere sono, infatti, indossate in prima persona da Grimoldieu che, dopo averle create, le personifica in una performance in cui ci mostra un’inscindibilità evidente tra l’”io”, personale e sociale, e l”io” artista. Si tratta di un atto demiurgico che l’artista compie su sé stesso, al contempo creatore e creazione. Grimoldieu contribuisce all’arte del futuro, plasmando il proprio corpo attraverso la chirurgia plastica e creando maschere forgiate sul proprio volto, oppure a immagine di icone della classicità e della modernità, o ancora inedite e aliene, che possano modellare in modo nuovo il corpo e il volto dello spettatore.

Prendendo in prestito le parole di Jeffrey Deitch, curatore della mostra Post Human (1992) ma attualissime ancora oggi per la ricerca di Grimoldieu: “Per l’artista post-human, l’opera si identifica in una procedura ricostruttiva del corpo, alterato nella sua identità biologica in un processo di biodiversificazione tra arte, scienza e tecnologia, che ha come fine una mutazione genetica, un nuovo corpo, una nuova personalità, una nuova psicologia, talvolta attraverso auto-aggressive trasformazioni somatiche, a metà tra performance, body art e chirurgia plastica’’[5].




[1] Gianni Vattimo, La fine della modernità, Garzanti, Milano 1998.

[2] Donna Haraway è autrice del Manifesto Cyborg, ispiratore del movimento Cyber-punk e teorica del Cyber femminismo. Cfr. Donna Haraway, Manifesto Cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo, trad..it, Feltrinelli, Milano 1995, p.25

[3] Il termine Cyborg, da cybernetic organism, è stato coniato nel 1960 da due medici del Rockland State Hospital di New York, Manfred Clynes e Nathan Kline, che svolgevano una serie di ricerche nell’ambito di studi promossi dalla NASA.

[4] Roberto Marchesini, Post-human. Verso nuovi modelli di esistenza, Bollati Boringhieri, Torino 2002, p. 70.

[5] Jeffrey Deitch, Post Human, catalogo della mostra, Pully/Lausanne, Rivoli, Athens, Hamburg, 1992.